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Martino IV – Az. Agricola Castelli

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Redazione
Redazione
giugno24/ 2015

Un sorso…divino

«Qui non si vieta
di nominar ciascun, da ch’è sì munta
nostra sembianza via per la dïeta.
Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di là da lui più che l’altre trapunta
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno
l’anguille di Bolsena e la vernaccia».

E’ da lontano che partiamo, dal XXIV canto del Purgatorio, dove Dante, solito spaziare tra mille e più argomenti, si comporta, inconsciamente, come un’attuale guida enogastronomica. Il Sommo, ci racconta della vernaccia, un vino storico, antico e austero. Tipico della zona della bassa Toscana e dell’alto Lazio. Quale miglior pubblicità di qualche esempio molto chiaro? Ci presenta Martino IV, addirittura un Papa, che per ingordigia, (si dice) morì a causa delle troppe anguille del lago di Bolsena irrorate di Vernaccia. Martino IV, al secolo Simon de Brion (1210-1285), fu un papa molto discusso, soprattutto in terra romana. Malvisto a tal punto che fu costretto a lasciare la città eterna trasferendosi tra Orvieto e Montefiascone, sulle sponde del lago che nel bene e nel male lo consegnò alla storia. Il papa “Ghiottonoe” come da molti storici è definito, morì, come detto, di indigestione proprio di anguille e vernaccia, e sulla sua tomba l’epitaffio è esplicito:

 “Gaudent anguillae quod mortuus hic jacet ille qui, quasi morte reas, excoriabat eas”Gioiscono le anguille perché giace qui morto colui che, quasi fossero colpevoli di morte, le scorticava.

Secondo le usanze tipiche dell’epoca, la sua salma venne lavata con vernaccia prima della sepoltura ed aromatizzata con erbe molto ricercate. Proprio della Vernaccia vogliamo parlare. Il termine in realtà indica semplicemente il fatto che un prodotto sia del luogo. Il perché di questa precisazione è presto detto, per anni si è saputo  e creduto che la Vernaccia di cui parlava Dante, fosse quella di San Gimignano. In realtà pochi sanno che la Vernaccia “papale” era un vino rosso e dolciastro, tipico del lago viterbese. Il vitigno era il, o meglio “la” canaiola, che proprio in una ridente cittadina sul lago di Bolsena, Marta, hanno deciso di ricominciare a vinificare. Il lavoro non è stato semplice, solo dopo anni di cure a vecchie vigne la produzione di uve è stata sufficientemente alta per esser vinificata.

Il vino, che logicamente si chiama Martino IV, è prodotto dall’Azienda Agricola Castelli, che stoicamente ha recuperato e lavorato vecchie piante. E’ un nettare tutt’altro che facile, leggermente abboccato e dal carattere duro, ammorbidito da un 15% di uve Montepulciano. Un rosso molto intenso dal sostenuto tenore alcolico che ben si presta ad accompagnare primi piatti molto elaborati, secondi di selvaggina, e ovviamente pesci di lago, purchè dalle riduzioni molto intense. Da provare anche l’abbinamento a dolci con marmellate e confetture, magari di visciole, con cui a nostro avviso il matrimonio è perfetto. Non possiamo però chiudere senza dare un’occhiata alla ricetta che più si avvicina a quella originale che tanto colpì il papa e Dante. La storia vuole che l’anguilla vada immersa nella vernaccia e fatta stare in ammollo fino alla sua morte, poi pulita, sezionata e marinata (ulteriormente) in vernaccia e spezie, tra cui, alloro, salvia, rosmarino, pepe e ginepro. Una volta ultimata la marinatura l’anguilla deve esser posta in padella con un filo d’olio e con le spezie recuperate dalla marinata, a fuoco vivace per circa 10-12 minuti, sfumandola ogni tanto con mezzo bicchiere di vernaccia (ovviamente). In alternativa, dopo averla scolata è possibile cuocerla alla griglia. Assumerà un sapore più forte, sicuramente più simile a come la mangiava Martino IV. 

Riccardo Roselli

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